Piano Editoriale

2020-2021

Quale misura andiamo cercando per il presente che viviamo, per il nostro respiro, per il nostro esserci? Quali e quante dimensioni riconosciamo in ogni singolo ambito delle nostre vite e delle nostre esistenze? Quali pratichiamo quotidianamente, quali ignoriamo, quali sono costrette al silenzio e rivendicano un diritto ad esprimersi? Come ne misuriamo le grandezze?

Dal 2016 Ark ha esplorato lo sguardo dell’individuo sul mondo, ha indagato le età della vita, ha preso in esame i conflitti determinati dalla fiducia nel solo agire tecnico e nelle sue formule meccanicistiche. Traiettorie tutte orientate alla ricerca di una ontologia, di una conoscenza inclusiva capace di dare ogni volta un significato all’accadere delle cose, non assoluto ma capace di individuare una coordinata, una misura appunto, il tema posto al centro del piano editoriale 2020 – 2021 della rivista.

La realtà, quando è interpretata dalla razionalità dell’intelletto e dal suo procedere attraverso le acquisizioni della logica, è costantemente sottoposta a misurazioni, analisi, quantificazioni, nominazioni e definizioni; eppure, prima di essere dato, quantità, dimensione, valore numerico, peso economico o politico, essa si dà come l’esistere dei fenomeni, un esistere che prescinde da qualunque disegno, ordine o destino. È a partire da questa natura ambivalente dei fenomeni, tra il diritto alla loro elementare esistenza e la profondità spirituale del loro significato, che il progettare deve essere riesaminato e compreso.

Volontà (Ark 37) e progetto (Ark 38) sono allora le grandi traiettorie che determinano ogni agire umano, la prima legata alla forza del desiderio e alla malìa del potere, il secondo alla saggezza di un ‘pensiero progettuale’ a cui affidare la responsabilità di decidere cosa fare e a cosa rinunciare. Ai loro estremi si situano gli orizzonti contrapposti delle scelte che la volontà e il progetto rendono possibili: dalla dismisura (Ark 36) di una realtà fuori controllo, fondata sul rischio e sull’incertezza, alla frugalità (Ark 39) come nuovo paradigma di un vivere fondato sulla continuità e la quiete, sulla ricerca di un equilibrio e di una consonanza con gli habitat naturali.

Entro queste coordinate, il piano editoriale per l’anno 2020 – 2021 della rivista si svilupperà a partire da una idea di misura che si confronta con l’imperativo della conservazione della biosfera e dei suoi habitat. Una misura che, prima di essere unità lineare standard, prima di essere una realtà incontrovertibile quale è la temperatura di fusione del piombo o un qualunque indicatore ambientale, è una qualità psichica e affettiva della nostra specie. Hanno una misura gli accrescimenti del tronco delle conifere, hanno una misura i sentieri che gli organismi saproxilici scavano sotto le loro cortecce, hanno una misura i periodi di sosta degli uccelli migratori, dei rapaci che trovano riparo in un edificio in rovina. Azioni che rispondono a equilibri, alle condizioni date di un ambiente e che si riorganizzano quando un evento imprevisto ne muta il divenire. Ha una misura la velocità con cui la Luna si sottrare alla vista di un osservatore immobile sulla superficie terrestre.

Tuttavia se nelle scienze fisiche la misura è una realtà oggettiva, non lo è nell’ambito dell’antropologia cultuale. L’agire umano – qui dimora il suo essere innaturale – contravviene all’ordine delle cose, ne scardina il ritmo, ne destabilizza la quiete, mosso da una volontà (Ark 37) che muove da un sentimento di cura e di salvaguardia, ma anche da una volontà di potenza che fa della natura un suolo da mettere a profitto o una risorsa da bruciare. La misura delle cose, di un giacimento di lignite o di un bacino d’acqua dolce, diventano allora funzioni di uno scopo, variabili che rispondono alla volontà di domesticare i fenomeni riconducendoli ad un ordine, ad una certezza, ciò fino al tramonto della modernità e del suo progetto (Ark 38). Le opere riconducibili alla migliore tradizione del modernismo del secondo dopoguerra, saldamente legate ai valori contestuali, alla fiducia nei principi etici della giustizia sociale, della conservazione degli ecosistemi, consideravano la misura la prova tangibile e oggettiva non di un compiaciuto ordine astratto ma di un sentimento devozionale, di una riconoscenza e di una gratitudine che esprimevano la consonanza tra l’individuo e il mondo e consentivano a una data comunità di tradurre in una forma, in un’azione, in un gesto l’armonia tra le parti. Una misura delle cose e dei fenomeni si dà compiutamente quando si ha la facoltà di osservare senza distruggere, di esserci senza negare l’esistenza a specie diverse da Homo sapiens. Da un lato quelle narrazioni stanno perdendo efficacia, minacciate dall’aggressività di linguaggi ondivaghi e destabilizzanti; dall’altro esse stanno mostrando sorprendenti forme di resistenza e sopravvivenza, proprio in quelle società che hanno conosciuto un lungo isolamento che ne ha preservato
le invarianti e le continuità con un vivere semplice (Ark 39, Frugalità).