Ark 55

Ospitalità

settembre 2025

Come immaginare la “città ospitale” del prossimo futuro? E la casa?
Il piano editoriale 2024-2025 della rivista di architettura e paesaggio Ark si conclude con un numero dedicato all’Ospitalità. Un tema aperto, dialettico, ricettivo che esprime una peculiare attitudine ad accogliere l’altro, l’ospite, atteso o inaspettato.
La natura ambivalente dell’ospite si situa nel suo essere sconosciuto e allo stesso tempo portatore di un messaggio che può rovesciare lo stato delle cose. Se negare l’ospitalità è un atto sacrilego, l’ospite esige uno specifico riguardo, è oggetto di una speciale attenzione, che tuttavia presuppone una distanza: le soglie sono allora gli ambiti dove attendere ed essere attesi, dove annunciarsi e presentarsi e perciò necessari al manifestarsi delle azioni connesse all’ospitalità.
È a fronte di questo suo potere disgregativo, della crisi e della frammentazione che porta nell’ordine precedente che si edificano apparati ora solidi ora intangibili per amministrare l’ospitalità.
Jacques Derrida ha dato di questa così profonda e ambivalente attitudine culturale una definizione aperta, possibile solo se si è disposti a decostruire le proprie certezze. È giunto a dire, con parole che non possono lasciare indifferenti, che si dovrebbe aprire la propria dimora all’altro e poi lasciargliela. Non è facile praticare un’etica così radicale, anche quando l’evento catastrofico è a un passo dal compiersi.
Riabilitare l’ospitalità quale attributo risolutamente umano, fondato sulla reciprocità, è indispensabile ogni volta che si pratica uno spazio e ne si disegnano i confini. In questa prospettiva, la città è ospitale quando accoglie una moltitudine di frammenti di spazi indecisi, dove poter dare espressione al desiderio dello stare insieme come atto risolutamente creativo e perciò imprevedibile.
Accogliere è una pratica che ha bisogno di tempo, di lente transizioni, di conoscenze pazienti che si sedimentano. In altre parole, di espressioni della durata, capaci di opporre resistenza ad ogni essere di passaggio, ad ogni irrilevante attraversamento compiuto dall’Altro nelle nostre esistenze.
Quale casa e quale “città ospitale” possono orientarci e costituire un modello a cui guardare? Una casa e una città concepite per dare la parola all’Altro e all’Altrove, senza tuttavia smarrire l’esistenza della soglia e del limite in assenza dei quali ogni spazio predisposto poeticamente per far sorgere un dialogo e una ricerca di senso si dissolverebbe. Soglie e limiti attraversabili, solidi come silenziose presenze sacre rivolte a chi arriva e a chi va, o eretti come festosi inni alla gioia.

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